In quale emisfero cerebrale è elaborato il linguaggio?

giovedì 6 maggio 2010

Recensione a "Questo è il paese che non amo" di Antonio Pascale



"Questo è il paese che non amo" è un saggio che scorre rapido come un romanzo. Antonio Pascale ci accompagna attraverso riflessioni autobiografiche, filosofiche e scientifiche in un'Italia senza stile, incapace di raccontarsi se non attraverso gli stessi termini brutali che vorrebbe (e dovrebbe) cancellare. Termini che, citando Kundera, Pascale attribuisce al desiderio di produrre la seconda lacrima. Non la prima, quella spontanea e genuina, ma la seconda, quella che nasce dalla commozione provocata dal pensiero di quanto sia bello e giusto piangere in quel momento.

A tal proposito, appare tagliente la critica al testo "I maiali" di Antonio Moresco, racconto nel quale viene attaccato il vouyerismo mediatico che si era sviluppato durante la tragedia che portò alla morte di Alfredino Rampi, caduto in un pozzo nel 1981. Moresco concludeva il racconto sostenendo che Alfredino, pur raggiunto da un soccorritore, non gli avrebbe dato la mano perché schifato dalla gente là sopra. Pascale si domanda se non vi fossero altri modi per muovere la stessa critica oltre a quello di utilizzare il medesimo vouyerismo mediatico, ed anzi superarlo entrando addirittura dentro al pozzo col bambino.

Il saggio ripercorre gli eventi politici e culturali che hanno caratterizzato l'Italia degli ultimi trent'anni: dall'arrivo degli immigrati senegalesi in Campania fino alla nascita delle televisioni commerciali, dal caso Di Bella al caso Englaro. Pascale non lancia sentenze: il suo procedere è cauto e riflessivo, ricco di punti interrogativi e attento a riportare fatti e dati.

Questo suo procedimento va in controtendenza rispetto a quegli intellettuali che, privi di conoscenze scientifiche, hanno trasformato questioni molto serie in simboli, semplificando la realtà in contrapposizioni manichee: bene versus male, naturale versus artificiale. Si chiede Pascale se questo "romanticismo" ha veramente aiutato a comprendere, oppure se ha semplicemente alimentato la confusione.

Ragione ed emozioni (tema già affrontato anche nel saggio Scienza e sentimento, Einaudi) sono quindi due parole che non possono convivere pacificamente: la realtà ci richiede un'analisi attenta, basata su dati concreti e non sul cuore. Emblematico di questa situazione è il caso di Vandana Shiva, che dichiarò nel marzo 2009 che "I semi sterili del cotone OGM" avevano causato "centomila suicidi tra i contadini indiani". Sentito ciò, Pascale immagina "schiere di giornalisti [...] prendere nota di questa affermazione perfetta [...] e riprodurla, amplificarla in cento, mille inchieste televisive, radiofoniche, giornalistiche: zoomare sempre, zoomare ancora". Poi, dopo aver chiarito che quei semi sono stati impropriamente definiti "OGM", Pascale fa riferimento al rapporto dell'IFPRI (Istituto internazionale di ricerca sulle politiche alimentari), nel quale si constata negli ultimi undici anni una diminuzione dei suicidi dei contadini dall'1,71 a 1,55 ogni 100.000 abitanti al fronte di un aumento esponenziale delle coltivazioni incriminate da Vandana Schiva (da 508.000 a 1,8 milioni di ettari solamente nella provincia di Maharashtra tra il 2005 e il 2006).

Chiamando in causa testi di critica cinematografica e letteraria, ma anche trame di film e articoli giornalistici, lo scrittore casertano promuove uno stile di narrazione attento a non cercare la seconda lacrima, in quanto le emozioni che essa suscita annichiliscono l'iniziativa, scaricano la responsabilità. Diviene così centrale, nel saggio, più ancora dell'oggetto da studiare il modo in cui si osserva tale oggetto. Pascale si domanda se sia possibile raccontare l'altro da noi senza prima esaminare il proprio sguardo.

La proposta che l'autore sembra portarsi dietro durante tutto l'arco delle 188 pagine è quella ereditata da Goffredo Parise, ovvero congiungere la democrazia e la pedagogia, nella speranza di creare una classe intellettuale onesta, capace di analizzare in maniera laica e scientifica i problemi e quindi insegnare con stile il modo in cui affrontarli, evitando i simboli e le banali semplificazioni. Solo allora si arriverà ad una democrazia vera e propria, poiché - spiega l'autore - le opinioni degli intellettuali verrebbero "lette dai nostri politici di riferimento e tradotte, poi, in una serie di leggi, norme, circolari esplicative che dovrebbero portare benefici e miglioramenti al mondo che abitiamo".


Enrico Santus

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domenica 25 aprile 2010

Odio gli indifferenti [...] sento di non dover sprecare le mie lacrime (Antonio Gramsci)

Discorso tenuto da Enrico Santus, direttore di Aeolo, il 25 aprile 2010 in occasione della celebrazione del 65mo anniversario dalla Liberazione a Pisa organizzata dal Popolo Viola.







Oggi è un giorno importante per l’Italia. Oggi è un giorno importante per tutti gli italiani.
Lo dovrebbe essere per lo meno, sia per la Sinistra che per la Destra. Lo dovrebbe essere sia per il Sud che per il Nord.
Esattamente 65 anni fa, uomini e donne di tutte le età imbracciarono per la prima volta nella loro vita un’arma e si dettero alla macchia. Non erano addestrati. Molti di loro non avevano mai visto un fucile. Nessuno di loro si aspettava di doverlo imbracciare per difendere la Patria.

Chiunque vorrebbe avere la garanzia di invecchiare. Invece, qualcosa spinse quegli italiani a combattere un nemico, quello nazista, che non risparmiava né civili né oppositori.
Uomini e donne, giovani e anziani, partivano sapendo che probabilmente non sarebbero tornati. Provenivano da realtà molto diverse gli uni dagli altri. Spesso, addirittura, supportavano idee politiche contrastanti, ma avevano a cuore una cosa: la libertà.
Era proprio la libertà che accomunava liberali e comunisti, cattolici e socialisti, anarchici e monarchici. La libertà di vivere dignitosamente e la libertà di esprimere il proprio pensiero senza alcun limite, senza alcuna paura. La libertà, insomma, di dire finalmente “NO” al fascismo e al nazismo.

Quasi dieci anni dopo, nel 1954, nel Teatro Lirico di Milano Piero Calamandrei ricordava il periodo della resistenza affermando: “Era giunta l’ora di resistere; era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini”.
Quel 25 APRILE 1945 si stavano ponendo le basi per la nostra Italia. Crollava una monarchia ed una dittatura e nascevano una repubblica ed una democrazia. Ed è proprio in quel giorno primaverile che si gettavano i presupposti per quella che – in soli due anni – divenne una delle migliori costituzioni al mondo, la Costituzione Italiana, capace di tutelare ancora i nostri diritti.
Ci hanno provato in tanti ad attaccarla. Tanti provano tuttora a comparare i repubblichini, complici dei nazisti, ai partigiani che hanno dato la vita per la libertà. Commemorare i morti, tutti i morti, è certo cosa buona: lo si faccia il 2 novembre. Il 25 APRILE si commemora la Liberazione e tutti coloro che hanno lottato per ottenerla.

Ma cosa spingeva uomini e donne tanto diversi in ideali, desideri e aspettative ad imbracciare un fucile? Cosa spingeva queste persone a rischiare la vita per una causa di cui probabilmente non avrebbero potuto godere i benefici? Non sarebbe stato molto più semplice adattarsi ad una realtà che, per quanto misera, garantiva la vita? NO!
Per citare ancora una volta Piero Calamandrei, “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare.” Ed ecco cosa provarono quelle persone: per noi è impossibile comprenderlo, perché tutti inspiriamo aria e la espiriamo regolarmente, ma provate a trattenere il respiro per sessanta secondi. Vi accorgerete che arriverà un momento in cui la vostra mente non penserà più alla vita o alla morte, non temerà il peggio. La vostra unica necessità diverrà RESISTERE, resistere per tornare a respirare. Resistere per tornare a respirare ARIA. Resistere per tornare a respirare LIBERTA’.
Imbracciare un fucile, allora, fu l’unica scelta possibile. La certezza del vivere senza respirare non aveva senso: meglio la morte. Ecco cosa mosse quelle braccia, quelle gambe e quelle menti: l’aria, la libertà. Tutti sapevano quanto fossero orrende le dinamiche della guerra. Loro, a differenza nostra, l’avevano vista coi propri occhi: erano vicini i bombardamenti ed era vicinissimo l’odore della polvere da sparo, nonché il fetido puzzo della morte. Ma erano giunti al punto di non ritorno, il punto in cui si deve scegliere a quale tra le due fazioni appartenere: UOMINI e NO.

Citando “La città futura” di Antonio Gramsci, “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. […] Il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che NON HA fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.”. (11 febbraio 1917 – Antonio Gramsci, La città futura)

Il 25 APRILE deve tornare nei cuori degli italiani, qualsiasi sia il loro ideale politico. Questo giorno è stato infatti uno spartiacque tra il fascismo e la libertà, e quest'ultima non ha colore. La dobbiamo a persone che non sarebbero mai volute diventare eroi, persone che avrebbero probabilmente preferito vivere la vostra vita. Avrebbero preferito evitare di dover scegliere tra l'essere UOMINI e NO. Glielo dobbiamo, festeggiamo questo giorno alla loro memoria, alla memoria di tutti quei partigiani che, prima ancora che cattolici, comunisti, liberali, anarchici, monarchici o socialisti, erano uomini e donne, padri, madri e figli, nipoti, fratelli e sorelle. Individui che mangiavano, lavoravano, ridevano, piangevano, ma – sopratutto – che sognavano.

A loro il mio saluto. A loro – e a tutti voi – questa boccata di libertà.

Enrico Santus


sabato 17 aprile 2010

Chi parla di mafia difende il paese

CHI PARLA DI MAFIA DIFENDE IL PAESE


È con profondo disappunto che leggiamo quanto afferma il Premier nella conferenza stampa a Palazzo Chigi del 16 aprile, nella quale sostiene che la mafia italiana, “pur essendo la sesta mafia al mondo è la più conosciuta” a causa del “supporto promozionale” fattole da film, serie tv e libri come le “otto serie della Piovra” o “Gomorra” di Roberto Saviano.

Non è necessario appellarsi allo scandalo per mostrare quanta cecità nascondano certe affermazioni. Il nostro Premier si dice fiducioso di sconfiggere entro la fine “della legislatura”, oltre al cancro, anche tutte le organizzazioni criminali.

Ma dal rapporto Sos impresa presentato il 27 gennaio 2010 dalla Confesercenti emerge un’altra realtà: la mafia italiana è ben lontana dal regredire, anzi, nel 2009 ha fatturato 135 miliardi di euro a fronte dei 90 miliardi fatturati nel 2007.

Secondo lo stesso Rapporto, lo scorso anno la “Mafia spa” ha rafforzato la propria posizione di prima azienda italiana, raggiungendo la soglia di quasi un reato al minuto a spese degli imprenditori. Si pensi che, solamente attraverso l’usura – cresciuta a causa della difficoltà di accesso al credito dovuta alla crisi – la mafia gestisce un giro d’affari di circa 20 miliardi di euro. Per non parlare del racket che rimane invariato solo a fronte di un drastico calo degli esercizi commerciali. Grande interesse riscuotono inoltre nelle organizzazioni mafiose l’edilizia e i centri commerciali, utili – questi ultimi – al riciclaggio del denaro sporco. C’è poi da tenere conto del settore del gioco, delle scommesse, delle frodi informatiche e, soprattutto, della contraffazione. Quest’ultimo in grado di muovere un giro d’affari pari a 7,8 miliardi di euro l’anno.

Se questa è la realtà dei fatti, ci viene difficile interpretare la tranquillità con cui il Premier asserisce certe parole, ma ancor più incomprensibile ci risulta la sua accusa di “supporto promozionale” alle mafie mossa a chi è costretto a vivere sotto scorta, senza la possibilità di sognare una vita normale, perché ha reso pubbliche le dinamiche delle organizzazioni criminali.

È ormai attestato che le mafie risentano della luce dei riflettori: esse desiderano il buio ed il silenzio, lo dimostra la cosiddetta pax mafiosa seguita alle stragi del ’92-93; godono del fatto che a conoscere le loro dinamiche d’azione siano solo pochi specialisti, consce degli ingenti danni economici che subiscono quando l’opinione pubblica è sollecitata su determinate tematiche.

In una società “dove la verità è sempre la versione dei potenti, dove viene declinata raramente e pronunciata come merce rara da barattare per qualche profitto; dove tagliare cadaveri e spargerne i pezzi è il miglior modo per rendere indelebile un messaggio, conoscere non è più una traccia di impegno morale. Sapere, capire diviene una necessità. L’unica possibilità che si ha, per considerarsi ancora uomini degni di respirare”.

Spetta, quindi, proprio all’informazione e alla partecipazione democratica avere un ruolo fondamentale nella lotta alle mafie. Attraverso di essa, infatti, la popolazione è chiamata e tenere alta la guardia e a creare anticorpi alla malavita: il più delle volte, infatti, è dalla semplice denuncia di un cittadino informato e consapevole di non essere solo che nascono indagini che portano agli arresti di cui si sta vantando il governo.

Per questo motivo è importante appoggiare l’informazione e non attaccarla. È fondamentale evitare quel che accadde con Giovanni Falcone al Maurizio Costanzo Show nel 1991, quando un giovane di media statura si alzò dalla sua poltrona e accusò il magistrato palermitano di diffamare la Sicilia. Tutti sanno come finì la storia: l’accusatore divenne prima Presidente della Regione Sicilia e fu poi condannato a 7 anni di carcere in appello per favoreggiamento aggravato per aver agevolato la mafia; il magistrato fu ucciso in un attentato il 23 maggio 1992 nei pressi dello svincolo di Capaci insieme alla moglie e a tre agenti della scorta.


Enrico Santus, Nicolò Amore




(L'articolo è stato scritto a nome del gruppo che ha fatto partire il cosiddetto "Progetto Spartacus", un insieme eterogeneo di studenti e dottorandi della Scuola Normale Superiore di Pisa, della Scuola Superiore Sant' Anna e dell' Università di Pisa che si propone di indagare e studiare il fenomeno della criminalità organizzata, unitosi in occasione del seminario di Roberto Saviano alla Scuola Normale Superiore)



domenica 11 aprile 2010

Antonio Pascale, dall'intervento su AEOLO a "Questo è il paese che non amo"

Cari Lettori,
vi scrivo per informarvi che è uscito l'ultimo libro di Antonio Pascale, "Questo è il paese che non amo".

Antonio, uno dei più amati scrittori italiani, fa i conti una volta per tutte con il nostro paese. E scrive un saggio sull’Italia contemporanea a metà tra l’autobiografia sentimentale e l’inchiesta sul campo.

Nel IV numero di Aeolo, Little Italy, Pascale era intervenuto con: "Contro la nostalgia per un'idea di futuro", un'intervista da me diretta nella quale lo scrittore analizzava i problemi contemporanei con occhio rigorosamente progressista e positivista, sostenendo il ruolo dell'onestà intellettuale nel miglioramento delle condizioni sociali. Cosa che nel nostro paese stava venendo a mancare.

<<>> sostiene Pascale. Poi risponde alla domanda se per immaginare un'Italia diversa sarebbe necessaria l'assunzione di responsabilità da parte dei cittadini con queste parole:

"L'impressione è che manchiamo di una metodologia critica, grazie alla quale affrontare in maniera analitica e profonda i nostri errori, quelli naturali e quelli specifici. E' un po' come lo schema narrativo classico, i tre atti. Nel primo atto il protagonista dichiara il suo obiettivo, nel secondo fallisce, arretra e analizza i suoi sbagli, quindi nel terzo atto risolve il conflitto. Se chiedete a uno scrittore, a un critico quale atto sia il più difficile, in coro risponderanno il secondo. Il primo è solo una dichiarazione di intenti, voglio salvare il pianeta dal riscaldamento globale, voglio amarti tutta la vita, voglio un milione di posti di lavoro ecc, il terzo è a tutti gli effetti un atto in discesa, una volta risolto il conflitto, l'accordo si trova. Il secondo atto presuppone senso dell'analisi e passione conoscitiva; e un personaggio capace di dichiarare i suoi sbagli e trovare una nuova strada. L'impressione è che, appunto, senza una metodologia condivisa, pubblica, soggetta a integrazioni e verifiche sperimentali, viene a mancare il secondo atto e dunque dobbiamo accontentarci di dichiarazioni di intenti tipiche del primo atto, e cioè ottimismo a oltranza, e risoluzioni dei conflitti a tarallucci e vino."


Antonio Pascale
Questo è il paese che non amo
Minimum fax
Pag 185, euro 12.

Maggiori info su: http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/04/08/news/paese_amo-3196727/

Cari saluti,
Enrico Santus

venerdì 2 aprile 2010

Alda Merini, un sito per continuare a lottare: www.aldamerini.it




tri-merini (Gianfranco Bagatti - 1996)




Io la vita l’ho goduta tutta, a dispetto di quello che vanno dicendo sul manicomio.
Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno…, per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara”.



Questa è Alda Merini, già donna a dodici anni, quando aiutò sua madre a partorire il fratellino durante i bombardamenti inglesi. Erano scappati su un carro bestiame nelle risaie di Vercelli, e lì hanno atteso in silenzio che i bombardieri se ne andassero.

Questa è Alda Merini, donna che pur avendo conosciuto l'inferno si definisce cattolica, ma ammette: "Non lo so se credo in Dio, credo in qualcosa che… credo in un Dio crudele che mi ha creato, non è essere cattolici questo?".

Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.


Venne quindi la povertà, che la faceva vivere con la famiglia in un locale abbandonato. Alda conobbe Ettore Carniti, un lavoratore ("il primo che mi è capitato"), poi lo sposò nel 1953 e con lui convisse tra un internamento e l'altro fino al 1983, quando Carniti morì.

Lei lo amava profondamente. Lui profondamente era geloso, poco incline ad apprezzare gli interessi culturali della poetessa, già scrittrice dall'età di 15 anni. La fame non la preoccupava: lei perseguiva i suoi sogni.

Se la mia poesia mi abbandonasse
come polvere o vento,
se io non potessi più cantare,
come polvere o vento,
io cadrei a terra sconfitta
trafitta forse come la farfalla
e in cerca della polvere d’oro
morirei sopra una lampadina accesa,
se la mia poesia non fosse come una gruccia
che tiene su uno scheletro tremante,
cadrei a terra come un cadavere
che l’amore ha sconfitto.


E poi il manicomio, le violenze, la crudeltà di preti e infermieri che stupravano le donne e poi le definivano "matte". La vergogna e la forza di lottare. Dall'anonimato dei Navigli di Milano all'essere definita "musa dei Navigli", dal manicomio alle candidature al Nobel per la Letteratura, Alda Merini ha lottato tutta la vita: un marito che beveva e la picchiava, quattro figlie che ha partorito e che non ha potuto allevare, alle quali raccomandava sempre "di non dire che sono figlie della poetessa Alda Merini. Quella pazza.".

Quattro figlie che, pur ammettendo che la vita della loro madre ha influenzato "positivamente ma anche negativamente" le loro scelte, ora desiderano ricordarla attraverso un portale totalmente dedicata a lei: http://www.aldamerini.it.

Al suo interno è possibile leggere la biografia e le lettere di una personalità affascinante, che aveva trasformato i muri della sua casa in un'agenda telefonica, tappezzata da numeri, versi, articoli, foto e quant'altro. Una personalità alla quale il cantautore Giovanni Nuti dedica nel 1994 tutto il suo percorso artistico.

Alda Merini si spegne il 1 novembre del 2009 a causa di un tumore osseo al San Paolo di Milano: i funerali di stato sono stati celebrati nel pomeriggio del 4 novembre nel Duomo. Rimangono i suoi versi, morbidi nel linguaggio ma durissimi e taglienti nel significato, perché la lotta della Merini non scompare con la sua persona.


di Enrico Santus
(direttore di AEOLO)

giovedì 1 aprile 2010

Criminalità internazionale - Roberto Saviano alla SNS



Criminalità internazionale - Roberto Saviano alla SNS



15/22 marzo, ore 10:30. Quando si spalanca la porta ed entra nella stanza un ragazzo in giacca scura, quasi schiacciato da quattro guardie corpulente, non parte nessun applauso. Per un attimo quaranta studenti, dottorandi e perfezionandi rimangono muti, immobilizzati dall’entusiasmo che emana quella piccola figura che si dirige rapida verso la sedia dal quale interverrà per il seminario di “Criminalità internazionale”. Tutto si frantuma come un cristallo quando il clap clap di un funzionario spezza il silenzio: subito l’applauso si propaga per la Sala Azzurra, una delle più prestigiose aule della Scuola Normale Superiore di Pisa.

Roberto Saviano appare in scena così, con passo sicuro e disinvolto. È evidentemente cosciente delle proprie capacità di oratore, ma ancor più lo è dei contenuti del suo discorso, lui che – primo caso nella storia – a soli 31 anni ha già partecipato a due “Venerdì del Direttore” presso la Scuola Normale. Nella sua scorta si avverte invece un certo nervosismo: le facce sono tese, controllano ogni movimento dei partecipanti e si lanciano occhiate e indicazioni. Deve passare più di un’ora perché i volti dei militari si rilassino: solo allora sorrido accorgendomi che gli sguardi non si soffermano più su movimenti sospetti, ma vengono distratti dal passaggio di una bella ragazza.

Roberto Saviano prende la parola e racconta di come la criminalità organizzata sia sempre meno criminale e sempre più organizzata. Il petrolio bianco – dice, riferendosi evidentemente alla cocaina – sta cambiando gli equilibri economici di molti Paesi nel mondo, e fa un cenno al Messico, diventato una “narcodemocrazia” che sta vivendo una cosiddetta “turbocrescita” proprio grazie al traffico della coca. “Buona parte della stessa geopolitica potrebbe essere riconsiderata in base al narcotraffico” commenta. E parla di Obama, che ha stanziato più soldi per le indagini sul narcotraffico che non su quelle inerenti al terrorismo, proprio perché – evidentemente – ritiene questo problema decisamente più serio e concreto.

Ed è a questo punto che il discorso di Saviano ci fa percorrere migliaia di chilometri per tornare in Italia: “Salvatore Mancuso,” sorride amaramente lo scrittore “trafficante colombiano di origine italiana, dice sempre che 'la pianta della coca è molto strana: perché ha le foglie in Sudamerica, ma le radici in Italia'". “Ne è una prova” prosegue “ il fatto che tutte le mafie internazionali considerano quelle italiane come gli interlocutori principali”.

Unica possibilità di sconfiggere il traffico internazionale del petrolio bianco sembrerebbe, a questo punto, la depenalizzazione: la stessa redazione dell'Economist sostiene da vent'anni che la vendita controllata delle sostanze stupefacenti potrebbe portare numerosi vantaggi, specie dopo che è stato dimostrato il totale fallimento del proibizionismo.

“Ma allora cosa si può fare contro la mafia?” chiedono sconcertati i volti dei ragazzi che ascoltano lo scrittore. Saviano sembra cogliere la domanda: “Bisognerebbe accendere più luci sul fenomeno mafioso, specie su quello che è sempre rimasto più all’ombra: i siciliani erano abituati già da tempo ad avere a che fare con i media, ma la Camorra no ed ha risentito molto dell’attenzione posta nella Campania ultimamente”. “Se i giornali nazionali spostassero la redazione nel napoletano” garantisce Saviano “si avrebbero giornali totalmente diversi da quelli che leggiamo tutti i giorni. Si avrebbe maggiore informazione su fatti gravissimi che, oggi, sono relegati a qualche piccolo giornale provinciale, scritti da cronisti coraggiosi ma, purtroppo, spesso non troppo abili all’analisi del fenomeno”.

La Camorra, infatti, è molto attenta all’informazione: attraverso una rapida rassegna dei titoli dei principali giornali campani, Saviano fa osservare quanto sia evidente l’influenza dei boss. È sufficiente ascoltare la chiamata di Michele Zagaria e Antonio Iovine al giornalista Carlo Pascarella, allora al Corriere di Caserta, per capire quale aria giri nelle redazioni dei giornali. I due boss latitanti, uno dopo l’altro, si lamentano in maniera vagamente minacciosa con l’incredulo Pascarella, sostenendo che non sia “un giornalista serio” in quanto scrive di guerre non vere tra le loro famiglie.

Dopo ogni omicidio di Camorra, la tendenza è quella di diffamare la vittima per far sì che la sua morte venga accettata senza problemi dalla comunità. Si utilizzano tutte le strategie: l’accusa di pedofilia, di traffico d’armi o addirittura di appartenere alla stessa Camorra. Così accadde persino con don Peppe Diana, eliminato nel 1994 dal clan dei Casalesi, sotto l’impero di Francesco Schiavone (detto Sandokan), accusato di esser stato a letto con due donne solo perché era uscita su un giornale una sua foto mentre abbracciava due scout.

Ma questi giornali non sono solamente i portavoce della Camorra, creano anche un immaginario di successo: si pensi a Nunzio De Falco che, per esempio, condannato come mandante dell’assassinio di don Peppe Diana, nei titoli del Corriere di Caserta è definito “re degli sciupafemmine”, quasi una nuova icona pop.

A questo punto si salta a scherzare sull’antropologia mafiosa: il giovane scrittore ride a ripensare all’intercettazione di Roberto Settineri, ambasciatore dei clan a Miami, che parla con un interlocutore a Palermo e gli canta – con la melodia de Il Padrino – “Parla ben piano che nessuno sentirà!”. I film di mafia più che portare le usanze mafiose nel cinema, hanno creato dei modelli che stanno avendo un incredibile successo nella realtà. Lo stesso termine “padrino” non veniva utilizzato dai clan di mafia prima dell’avvento dell’omonimo film.

La cultura pop penetra nell’immaginario mafioso e lo arricchisce di particolarità curiose: “I più giovani mafiosi vestono” dice Saviano sgranando gli occhi e gesticolando con la mano “come i tronisti di Maria de Filippi!”. La platea ride.

Sebbene la giurisprudenza italiana sia la più avanzata nel trattare i fenomeni mafiosi (si pensi solamente che né in Gran Bretagna, né in Francia, né in Germania né in Spagna esiste il reato di associazione mafiosa), nel nostro Paese non si fa ancora abbastanza per lottare contro quest’organizzazione criminale, che sta tendendo sempre più a legalizzarsi e infiltrarsi nelle strutture istituzionali, dove può radicare indisturbata e riportare nella legalità i frutti di attività illecite (si pensi al riciclaggio di denaro sporco svolto – secondo le indagini – da Scaglia, il fondatore di Fastweb).

La Camorra, al di là delle guerre di potere, si comporta come una vera e propria impresa moderna: il suo scopo è vendere la maggior quantità di prodotto e tagliare i costi di produzione. La cura che essa riserva all’immagine è poi emblematica della sua evoluzione all’interno di un sistema economico in cui i confini della legalità si fanno sempre più labili. Promossa come l’impresa più potente d’Italia, con un fatturato annuo pari a 40.000 milioni di euro, la crescita della Camorra deve essere fermata prima che sia troppo tardi.


di Enrico Santus

sabato 13 marzo 2010

Gli elettori del nonno Premier


Ci sono mattine in cui uno si sveglia e vorrebbe trovarsi in un altro Paese. Magari nello Zimbabwe, ma non in Italia. Il perché è presto detto: è sufficiente aprire un giornale (magari non Il Giornale) per sentire il fetore del marcio invaderti le narici, stringerti la gola, strapparti il cappuccino dallo stomaco per rivoltarlo sul pavimento. E tu, senza cappuccino, non sei più un ITALIANO.

Queste mattine, però, uno sente ancora più forte la necessità di rimanere. Rimanere per i padri e per i figli, rimanere per resistere. Se tutti i "cervelloni" scappassero, se tutti i "guerrieri della parola" fuggissero, allora questo Paese si trasformerebbe in un campo di guerra. Perché laddove si tagliano le lingue si muovono le mani, lo insegna la storia.

E sono proprio le lingue che Silvio Berlusconi, nonno 73enne privo di scrupoli, vuole tagliare. Lo dimostra la cacciata del giornalista durante la conferenza stampa per via di una domanda scomoda, proprio mentre un suo consigliere gli suggeriva di non essere duro. Ma ancor più lo dimostrano le intercettazioni sulle pressioni fatte a Innocenzi per cancellare Santoro dalla TV o sui suggerimenti editoriali al "Direttorissimo" Minzolini.

L'uso privato del potere ha raggiunto apici mai conosciuti nel nostro Paese. Anche questa volta, l'anziano Premier reciterà la sua parte di vittima della magistratura e dei giornali catastrofisti (quelli che - fortunatamente - ancora divergono un pochino dai suoi diktat, si intenda!), alternandola - come sempre fa - all'immagine del Potente "costruito con le proprie mani", che ancora continua a fare breccia sul popolino.

Non è bastato il possesso di tre televisioni private al Premier. Non è bastato il controllo di buona parte dell'editoria. Il nonno Premier ha voluto schiavizzare attraverso l'Agcom anche la televisione "pubblica", quella pagata coi soldi dei contribuenti, ossia i miei, i tuoi, i vostri! Un'operazione che avrebbe fatto invidia a Goebbels, se solo avesse potuto conoscerla.

La situazione sta sfuggendo di mano. Le istituzioni continuano a logorarsi giorno dopo giorno e la parte politica che più risentirà di questo "schifo" sarà proprio la destra. Quando verrà a mancare l'anziano Berlusconi, la destra si disferà come un castello di carte: tutto è costruito sul viso del Premier tirato dal lifting, sui suoi capelli rimpiantati, sui suoi gesti che richiamano la retorica mussoliniana e sul suo nome. Appare ovunque: nei manifesti non si leggono né principi né idee, ma semplicemente il nome "Berlusconi" a caratteri cubitali, seguito poi in minuscolo dal candidato regionale nella forma "per xxx".

BERLUSCONI


per Renata Polverini


Fini se n'è accorto e pian piano prende le distanze. Sa bene che il popolo non è stupido e che la verità verrà a galla. Gli elettori del nonno Premier invece?


Enrico Santus

lunedì 8 marzo 2010

CRASH! La disgregazione della forma




CRASH! La disgregazione della forma

Cultura – Arte – Divertimento

TEL 3474467744

ORGANIZZATORI: Rivista Aeolo e Associazine VentiEventi

LUOGO: Cinema Lumière, Palazzo Agostini

DATA: 26 marzo – 6 aprile (eventi concentrati tra 26 e 28 marzo)


PITTORI ED ESPOSITORI: Roberto Funai, Mimmo Corrado, Vacon Sartirani, Leonardo Cosmai, Antonio De Rose, Anna Utopia Giordano & Luca Catellani

OSPITI ILLUSTRI: Gregorio Scalise (Poeta), Marco Lombardi (Giornalista de La Repubblica)

PATROCINI: Provincia di Pisa, Comune di Pisa, Comune di Iglesias, D.S.U.

SPONSOR: “Britannia”, “Tra le righe”, “Cinema Lumière”, “Bar Centro”, “Deviribé”, “Bar Settimelli”, “Baseel”, “Caffè 900”, “Cecco Rivolta”, “Aeolo”, “118Libri.it”, “Associazione VentiEventi”, “Il Casino dei Nobili”, “Felici Editore”, “Centro Grafico Pisano”.

CONCORSO LETTERARIO: Per maggiori informazioni cliccare sul tema del concorso Horror vacui, la paura del vuoto

TEMA

L’Associazione VentiEventi promuove la manifestazine «CRASH! La disgregazione della forma», un festival artistico, letterario e musicale che si propone di indagare come – col passare delle epoche – si sia assistito ad un affrancamento della forma dal contenuto in direzione di una maggiore libertà espressiva.

Questo fenomeno ha portato ad esiti interessanti in tutte le forme d’arte: da quella pittorica a quella letteraria, fino a giungere a quelle musicale, teatrale e cinematografica. Si pensi, per la pittura, al ricco sperimentalismo delle avanguardie del primo Novecento, oppure si confronti, in letteratura, il realismo di Balzac al futurismo di Marinetti o al surrealismo di Breton.

Anche laddove forma e contenuto non si sono scissi completamente, si è assistito ad un fenomeno che possiamo ben definire come “disgregazione della forma”, ovvero un’emancipazione della forma dai vincoli imposti dal contenuto. Così l’espressività ha superato l’espressione, dimostrando falsa – tra l’altro – l’abusata metafora del contenitore che modella il contenuto, considerato come un liquido informe.

Che la disgregazione della forma nell’arte abbia le sue origini nei mutamenti sociali di questi ultimi due secoli è cosa certa: i differenti stimoli a cui la società è stata sottoposta (si pensi alla tecnologia) e la maggiore coscienza della propria identità sociale e dei propri diritti da parte degli individui hanno certamente contribuito all’abbandono dei formalismi, sia comportamentali sia culturali, a cui eravamo abituati, favorendo così la nascita e lo sviluppo di forme d’arte più consone al nuovo gusto culturale.

Durante la mostra verranno presentate opere di autori nazionali e internazionali che metteranno in luce proprio alcune delle diverse fasi di questa tendenza nei diversi campi artistici.

Enrico Santus,

direttore di Aeolo

CALENDARIO

Venerdì 26 marzo

19:00 – Inaugurazione con aperitivo – “Crash! La disgregazione della forma”

20:00 – Radio di Massa in diretta con i Pittori

22:00 – KETMENÙ (Trasformazioni Elettroniche) + Matteo Berton – “Arte figurativa e musica live”

Sabato 27 marzo

10:00 – Federico Guerri, Marco Lombardi e Franco Farina – “La disgregazione della forma nella scrittura creativa e letteratura”

***

15:00 – Arcigay, Arcilesbica e Trans Genere – “Identità di genere e orientamento sessuale”

18:00 – Radio di Massa in diretta con Marco Lombardi – “La disgregazione della forma nei rapporti tra politica, giustizia e informazione”

20:00 – Enrico Santus introduce Paolo Guerrieri – Presentazione della silloge poetica “Fumo leggero lontano vento” di Michele e Paolo Guerrieri

21:30 – 118Libri.it – Reading + Musica Live + Premiazione Concorso letterario (Aeolo, 118Libri.it, Anna Utopia Giordano)

Domenica 28 marzo

10:00 – La redazione presenta “Aeolo, non solo una rivista letteraria”.

11:30 – 118Libri.it presenta “Pronto soccorso letterario”

***

16:00 – Domenica Romagno – “Categorie, oggetti, parole: tra forme e funzioni”

18:00 – Renato Marvaso introduce Gregorio Scalise – “Poetica dell’armonia o della disgregazione?”

20:00 – Anna Utopia Giordano + Andrea Ropes + Musiche Un Artista Minimalista - "Performance"

20:30 – Samuel Catarro (Live)

21:30 – Andrea Buffa (Live)

martedì 16 febbraio 2010

Il compito più alto di un uomo è sottrarre gli animali alla crudeltà (E. Zola)



Gentili Onorevoli,
mi chiamo Enrico Santus e sono il direttore della rivista Aeolo (www.aeolo.it).

Vi scrivo in merito alla Proposta di Legge n. 1458, in quanto ritengo fondamentale la necessità della sua approvazione, nonché fortemente umano e civile concedere a quegli esseri che nascono già destinati alla macellazione la sicurezza di soffrire il meno possibile.

Il metodo d'uccisione Halal (l'unico "lecito" per la legge islamica) e quello dei precetti ebraici per ottenere della carne Kosher non accettano lo stordimento preventivo. Gli animali devono essere coscienti al momento dell'uccisione e quest'atto avviene con la recisione della trachea e dell'esofago dell'animale, la cui colonna vertebrale non dev'essere spezzata, in quanto la testa non si deve assolutamente staccare dal corpo.

Fonti scientifiche indipendenti confermano la grande sofferenza degli animali durante l'atto di abbattimento. Tra queste possiamo citare l'autorevole "Farm Animal Welfare Council", organo consultivo del Governo inglese, nonché la Federazione dei Veterinari Europei. Si tratta di documenti avvalorati da metodi di rilevazione della sofferenza degli animali.

Solo in Italia i macelli autorizzati alla macellazione senza storidmento e con metodo rituale sono circa un centinaio e aumenteranno presto anche grazie alle iniziative di diffusione della carne Halal come quella avviata dalla COOP.

Vorrei ricordare a tal proposito quanto disse Gandhi: "La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali". E' infatti inconcepibile che una società civile come la nostra permetta ancora l'uccisione barbara di esseri innocenti, la cui unica sfortuna è stata nascere.

Riprendendo le parole del grande scrittore francese Emile Zola, vi chiedo di impegnarvi per la calendarizzazione e l'approvazione della Proposta di Legge n. 1458, poiché "Il compito più alto di un uomo è sottrarre gli animali alla crudeltà".

Nel ringraziarvi per la cortese attenzione, vi porgo

Cordiali Saluti
Enrico Santus





FAI LA TUA PARTE: INOLTRA ANCHE TU UNA MAIL AI SEGUENTI INDIRIZZI CHIEDENDO LA CALENDARIZZAZIONE E L'APPROVAZIONE DELLA LEGGE CHE RENDA OBBLIGATORIO LO STORDIMENTO DELL'ANIMALE PRIMA DEL SUO ABBATTIMENTO:

•On. Angelo Alessandri - Presidente Commissione Ambiente Camera, primo firmatario Proposta di Legge n.1458 per rendere obbligatorio lo stordimento per ogni tipo di macellazione anche rituale - alessandri_a@camera.it
•On.Paolo Russo – Presidente Commissione Agricoltura Camera – Commissione dove è stata assegnata la Proposta di Legge n.1458 russo_p@camera.it
•On.Francesca Martini – Sottosegretario alla Salute – f.martini@sanita.it

venerdì 12 febbraio 2010

L'Italia ha dimenticato cosa sia l'oscenità

L'Italia ha dimenticato cosa sia l'oscenità. Niente più riesce a scandalizzare un popolo confuso e disorientato come il nostro.
Le accuse alla magistratura sono la normalità. Gli attacchi ai giornali sono il nostro pane quotidiano. Il parlamento diventa un covo di avvocati e condannati che si allontana sempre di più dalla società.

E mentre la terra trema sotto i nostri piedi, c'è chi ride la disgrazia e chi dà una ripassata a Francesca.

Riporto di seguito un articolo tratto da Repubblica sull'umorismo del NOSTRO rappresentante.

Cordiali Saluti
Enrico Santus







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L'umorismo di Berlusconi con Berisha
"Sbarchi? Ammesse solo belle ragazze"
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ROMA - ''Faremo un'eccezione per chi porta belle ragazze''. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ironizza così durante la conferenza stampa seguita al termine della firma di una partnership strategica con l'Albania. Il primo ministro albanese, Sali Berisha, aveva appena promesso che fino a quando durerà il governo Berlusconi, l'esecutivo albanese cercherà di limitare il più possibile gli sbarchi proseguendo sulla strada della moratoria sugli scafisti: ''Non voglio che gli albanesi muoiano, non voglio che i criminali arrivino in Italia'', ha detto Berisha. Berlusconi ha ironizzato ''per chi porta le belle ragazze possiamo fare un'eccezione''. Il Cavaliere è parso particolarmente galante nei confronti delle giornaliste albanesi che stavano seguendo il suo incontro con il suo omologo albanese. Canonica foto con stretta di mano tra i due leader al termine delle dichiarazioni. Berisha dice: "questa è la foto più bella della giornata". "Beh, se ci fosse anche una di loro..." risponde Berlusconi indicando le giornaliste sedute in prima fila. Il premier albanese non si fa pregare e accontenta il suo "amico Silvio" facendole avvicinare. Altra photo opportunity. E Berlusconi non resiste alla battuta: "si sa che sono single...".

(Repubblica, 12 febbraio 2010)


sabato 23 gennaio 2010

Totò Cuffaro e la morte dell'ottimismo!

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Totò Cuffaro e la morte dell'ottimismo!

Il 18 gennaio 2008, l'allora presidente della Sicilia Totò Cuffaro fu condannato a 5 anni per favoreggiamento di individui legati a Cosa Nostra e per rivelazione di segreti d'ufficio. L'accusa chiedeva 8 anni, in quanto sosteneva l'aggravante del favoreggiamento alla mafia, ma poiché la corte non aveva ritenuto dimostrata tale aggravante, la condanna fu più lieve.

Cuffaro ne uscì "confortato": "non sono colluso con la mafia e per questo resto presidente della Regione". Annunciò, inoltre, di ricorrere in appello per far cadere i residui capi d'accusa.

Casini, quello stesso giorno, intervenne affermando con rara sicurezza: "In appello cadranno anche le altre imputazioni".

E già si festeggiava nel Palazzo d'Orleans di Palermo. Totò Cuffaro aveva invitato amici, collaboratori e giornalisti con una colazione a base di caffè e cannoli alla ricotta. D'altronde cinque anni non sono poi tanti, specie per un politico. E poi - come aggiunse Marcello Dell'Utri - "Una sentenza di condanna, lo sanno tutti, non si nega a nessuno".




Da questa sagra dell'ottimismo si passò ai timori di Silvio Berlusconi, che colse la palla al balzo per ribadire - sostenuto dai suoi sondaggi - che ci fosse "da fare un risanamento di tutto l'ambito giudiziario molto in profondità".

Mentre in sostanza l'UDC accettava la sentenza, confidando nell'appello, il leader del PDL l'attaccava.

Nel frattempo il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso precisava che era "stato riconosciuto il comportamento dei singoli come referenti di Cosa nostra: questa è la differenza sostanziale dal punto di vista tecnico-giuridico rispetto all'aggravante dell'articolo sette". Se, insomma, si fosse trovata una sola prova a favore dell'aggravante, allora questa sarebbe stata applicata poiché il favoreggiamento non sarebbe più stato ai singoli, ma all'intera organizzazione mafiosa.

E questa prova è stata trovata. L'ex governatore siciliano, ora senatore dell'UDC, è stato condannato in appello a 7 anni di reclusione per favoreggiamento aggravato dall'aver agevolato Cosa Nostra e per rivelazione di segreto istruttorio.

Ancora una volta, forte forse della propria poltrona, Cuffaro decide di non criticare la sentenza: "So di non essere mafioso, so di non avere mai favorito la mafia. Ma questo non vuol dire che non si debbano rispettare le sentenze".

Due cose sono certe: l'ottimismo e la sicurezza di Casini si sono dimostrati troppo affrettati; questa volta, inoltre, Totò Cuffaro non avrà nessun motivo per festeggiare con una colazione a base di cannoli alla ricotta.


Riporto un video per NON DIMENTICARE:
http://www.youtube.com/watch?v=F5MZmJLMQ9Y


Cordiali Saluti
Enrico Santus
direttore di Aeolo





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sabato 16 gennaio 2010

Notte fonda 1




Notte fonda 1

Lascialo il porco alla sua terra
e alle ghiande, ché la notte ha impastato
dentro al rosso del vino.

Io bukowski rinverginito.
Io dettaglio dell'universo.



(E. Santus)






venerdì 15 gennaio 2010

Carissimi Amici,
vi propongo la pubblicità per promuovere la rivista Aeolo. Condividetelo se desiderate.

Un carissimo saluto
Enrico Santus




mercoledì 13 gennaio 2010

A Silvio, di Giacomo Leopardi


Scusate, ma già che siamo in tempo di lettere al Premier,
non ho resistito a pubblicare anche questa di Giacomo Leopardi










martedì 12 gennaio 2010

Lettera d'Amore al Presidentissimo Migliorissimo della Storissima

Caro Silvio,
questa sera ho poggiato il mio sedere sulla poltrona ed ho aperto il giornale. Ne leggo due o tre al giorno perché soffro di una ormai rara malattia che colpisce ancora qualche giovane sfigato come me. Si chiama UPMC (Utopia di Poter Migliorare le Cose): il medico mi ha spiegato che, nonostante il nome, non ha niente a che fare coi topi e mi ha rassicurato dicendo che si tratta fortunatamente di una malattia che si cura con l'età, con la televisione e con le ballerine degli show di prima serata.

Ma io, caro Silvio, sono uno sfigato come ti dicevo. Non ho nessuna televisione da guaradare e così il medico mi ha prescritto delle pillole che distribuiscono gratis in tutte le farmacie. Il nome, se non mi sbaglio, credo che sia TOLLERANZA. Devo ingoiarne molte al giorno finché non sarò abbastanza vecchio da rimbambirmi.

Ho deciso di scriverti questa bella lettera per dirti che, nonostante il mio noto passato di contestatore (sempre pacifico eh!), ti ammiro. Ti ammiro perché riesci sempre a far parlare di te, mostrandoti sorridente in ogni fotografia che appare su giornali e tv (tranne in quelle de la Repubblica, dove sembri sempre un mastino arrabbiato).

Mi chiedo come riesci a 73 anni a sollevare ancora le folle (e non solo le folle!): certe volte ripenso a mio nonno che alla tua stessa età aveva difficoltà a ricordare persino cosa avesse mangiato a pranzo. Tu invece no, Silvio.
Tu, a 73 anni, dopo il divorzio da Veronica non ti sei mica abbattuto. Hai persino fondato il Partito dell'Amore: un partito da sogno, pieno zeppo di Veline e Veloni che in coro ondeggiano cantando "Meno male che Silvio c'è!". Mica l'hai fatto con la Bindi il Partito dell'Amore!

Mi domando se quando eri giovane come me già te le immaginavi tutte queste bischerate... Eh? Altro che quelli che urlano in difesa della democrazia. Tu sei stato eletto, sei l'uomo ELETTO!

Lo devono capire quelle toghe rosse coi calzini turchini. Mica si crederenno di riuscire a processarti? Diglielo che non farai fare una cicca al parlamento finché non ti toglieranno i processi di dosso! Diglielo che te ne sbatterai di tutti i disoccupati, almeno finché non la smettono di perseguitarti col tuo passato! Questi giudici sono troppo legati al passato e non riescono a vedere il futuro prosperoso che stai creando, con il Ponte di Messina tra l'altro...

Sei davvero forte, un divo: sei unico.

Spero che questa lettera riesca a raggiungerti. Tutto dipenderà da quanti amici la condivideranno nel loro profilo, ma ho grande fiducia nella gente: noi tutti ti amiamo e ti stiamo accanto.

Ad ogni modo, visto che in Italia non sono ancora permessi i matrimoni gay e che quindi non potrò sposare né tuo figlio né quello di un altro milionario, ti prego, trovami un modo per vivere dignitosamente.

Magari fammi un posticino dentro al Partito dell'Amore. So che tu hai due palle così, ma sono certo che neanche le mie misure deluderanno!

Con affetto e sincerità
Enrico Santus



domenica 10 gennaio 2010

Il desiderio e la serenità




Lacan
sosteneva che le fantasie non devono essere mai realistiche, perché nel momento in cui otteniamo ciò che cerchiamo non possiamo più volerlo. Noi non proviamo il piacere dal possesso di qualcosa, ma dal desiderio di possederla.

Siamo esseri orientati allo scopo, ad un risultato.

ESEMPIO 1: Si pensi ad una semplice partita di pallone: non importa se stiamo perdendo, l'importante è che s'intraveda ancora la possibilità di riportarsi in vantaggio. Ma nel momento in cui ciò non sia possibile, oppure nel momento in cui il nostro vantaggio è così superiore da non poter essere recuperato, la partita perde il suo valore, inizia a diventare noiosa.

ESEMPIO 2: Così è pure per il giocattolo che il bambino pretende che i genitori comprino. Nel momento in cui lo otterrà non saprà piu' che farsene e ne cercherà un altro, migliore e magari piu' difficile da ottenere (ovvero piu' costoso!).


Nel momento in cui raggiungiamo il nostro scopo, dobbiamo subito porcene uno maggiore: non farlo significherebbe immobilizzarci, arrendersi alla realtà, morire.

Questo fatto, per quanto interessante e - forse - alla base della superiorità della specie umana sulle altre, ha anche delle conseguenze decisamente negative nonché delle pericolose perversioni.

Tra queste ultime citiamo ciò che spesso accade in amore: è noto che "in amore vince chi fugge". Ebbene, perché può accadere ciò? Semplicemente perché chi fugge riesce a rimanere desiderio, mentre chi insegue equivale ad uno scopo già soddisfatto, ad un obiettivo già raggiunto. Ma come nella partita di pallone dell'Esempio 1, chi fugge deve farsi raggiungere di tanto in tanto, altrimenti diverrà un desiderio troppo distante, troppo difficile da raggiungere e colui che insegue smetterà di correre.
Questa fuga-inseguimento si realizza in maniera esemplare nell'Orlando Innamorato di Boiardo in seguito, però, all'utilizzo - prima da parte di Angelica e poi da parte di Rinaldo - di un filtro d'amore.


Il nostro orientamento alla scopo è la base dell'infelicità della specie umana: mentre le altre specie vivono serene nel loro habitat, l'uomo ha sempre cercato - insoddisfatto - di migliorare la propria condizione, modificando l'ambiente che lo circondava e adattandolo alle proprie esigenze, senza però mai riuscire ad adattarsi egli stesso.

Poiché l'uomo non sarà mai appagato dal raggiungimento di uno scopo e poiché il desiderio comporta movimento e sofferenza, l'uomo non potrà mai godere della serenità.

Questo conflitto interiore viene magistralmente esposto nel Faust di Goethe, laddove il vecchio Professor Faust, che tanto aveva studiato per soddisfare la propria sete di sapere, arriva a sfidare il diavolo e vendergli l'anima, sicuro che nemmeno lui sarà in grado di fargli raggiungere la felicità. "Quando dirò FERMATI ATTIMO, SEI TROPPO BELLO, allorà diverrò tuo schiavo" dice Faust senza mezzi termini a Mefistofele.

Faust sa che il suo piacere sta nel desiderio e non nella soddisfazione dello stesso che il diavolo può offrirgli: lui desidera la mela più matura, ma che marcisca nell'attimo esatto in cui arriverà ad addentarla; desidera la donna che nello stesso istante in cui viene posseduta starà già guardando il suo prossimo amante.

Ma c'è anche chi è riuscito a trovare la serenità. Epicuro, per esempio, sosteneva che tra i desideri possibili solo alcuni sono naturali, e corrispondono a quelli necessari. Tra questi vi è la felicità psico-fisica: una vita che non la contempli non è spesa bene.
Secondo Epicuro era necessario conoscere bene i propri desideri e assecondare solo quelli fondamentali e naturali, cosicché sarebbe diventato possibile creare un'armonia tra corpo e animo.
Nella condizione di serenità ogni turbamento cessa di esistere e lo stato di calma procura beneficio al corpo. La non sofferenza diventa così godimento.


Verrebbe da chiedersi a questo punto:
  1. E' giusto vivere una vita serena, immobile e pacifica, oppure una vita di ricerca, ricca di scontri e sofferenze?
  2. E nello scontro della ricerca siamo destinati a soccombere o evolverci?
  3. Infine, l'uomo sereno è colui che ha perso la sua battaglia col mondo e se n'è quindi distaccato o colui che ha vinto la propria battaglia con sé stesso e i propri turbamenti?





A Londra

Per un poco d'ispirazione sarebbe sufficiente un giornale: lo si apre, lo si sfoglia ed ecco mille argomenti di cui si potrebbe (e aggiungerei: si dovrebbe) parlare: politica, razzismo, democrazia, libertà, media, etc.

Ma certe volte qualcos'altro si impone più delle pagine del giornale. Sono i ricordi, quelle immagini leggermente sbiadite che accendono in noi vaghe nostalgie, dentro cui il cullarsi regala un tiepido sapore dolce-amaro.

La mia nostalgia, oggi, è Londra. Una città dove ho vissuto per un anno e dalla quale mi sono staccato bruscamente circa sei mesi fa. Questa mattina ho voluto scriverle due parole, prima di tornare al mio studio:

Qualche volta ti ripenso, mentre mi rigiro tra le lenzuola
disordinate e sepellisco la testa sotto un mucchio di cuscini.

Ti ripenso come una nostalgia frustrante, come
un affetto strappato via, un laccio mozzato da canini invidiosi.

Qualche volta ti ripenso e sono certo che ti riavrò,
anche se solo per un giorno, solo per una notte.

sabato 9 gennaio 2010

Il primo mattone

Non è mai facile iniziare qualcosa. Lo sanno tutti: è molto più semplice abbandonare, dimenticare, distruggere...

Lascio che questa frase fermenti, per riprenderla nei prossimi giorni e raccontarvi qualcosa di interessante!

A presto
Enrico Santus