In quale emisfero cerebrale è elaborato il linguaggio?

sabato 23 gennaio 2010

Totò Cuffaro e la morte dell'ottimismo!

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Totò Cuffaro e la morte dell'ottimismo!

Il 18 gennaio 2008, l'allora presidente della Sicilia Totò Cuffaro fu condannato a 5 anni per favoreggiamento di individui legati a Cosa Nostra e per rivelazione di segreti d'ufficio. L'accusa chiedeva 8 anni, in quanto sosteneva l'aggravante del favoreggiamento alla mafia, ma poiché la corte non aveva ritenuto dimostrata tale aggravante, la condanna fu più lieve.

Cuffaro ne uscì "confortato": "non sono colluso con la mafia e per questo resto presidente della Regione". Annunciò, inoltre, di ricorrere in appello per far cadere i residui capi d'accusa.

Casini, quello stesso giorno, intervenne affermando con rara sicurezza: "In appello cadranno anche le altre imputazioni".

E già si festeggiava nel Palazzo d'Orleans di Palermo. Totò Cuffaro aveva invitato amici, collaboratori e giornalisti con una colazione a base di caffè e cannoli alla ricotta. D'altronde cinque anni non sono poi tanti, specie per un politico. E poi - come aggiunse Marcello Dell'Utri - "Una sentenza di condanna, lo sanno tutti, non si nega a nessuno".




Da questa sagra dell'ottimismo si passò ai timori di Silvio Berlusconi, che colse la palla al balzo per ribadire - sostenuto dai suoi sondaggi - che ci fosse "da fare un risanamento di tutto l'ambito giudiziario molto in profondità".

Mentre in sostanza l'UDC accettava la sentenza, confidando nell'appello, il leader del PDL l'attaccava.

Nel frattempo il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso precisava che era "stato riconosciuto il comportamento dei singoli come referenti di Cosa nostra: questa è la differenza sostanziale dal punto di vista tecnico-giuridico rispetto all'aggravante dell'articolo sette". Se, insomma, si fosse trovata una sola prova a favore dell'aggravante, allora questa sarebbe stata applicata poiché il favoreggiamento non sarebbe più stato ai singoli, ma all'intera organizzazione mafiosa.

E questa prova è stata trovata. L'ex governatore siciliano, ora senatore dell'UDC, è stato condannato in appello a 7 anni di reclusione per favoreggiamento aggravato dall'aver agevolato Cosa Nostra e per rivelazione di segreto istruttorio.

Ancora una volta, forte forse della propria poltrona, Cuffaro decide di non criticare la sentenza: "So di non essere mafioso, so di non avere mai favorito la mafia. Ma questo non vuol dire che non si debbano rispettare le sentenze".

Due cose sono certe: l'ottimismo e la sicurezza di Casini si sono dimostrati troppo affrettati; questa volta, inoltre, Totò Cuffaro non avrà nessun motivo per festeggiare con una colazione a base di cannoli alla ricotta.


Riporto un video per NON DIMENTICARE:
http://www.youtube.com/watch?v=F5MZmJLMQ9Y


Cordiali Saluti
Enrico Santus
direttore di Aeolo





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sabato 16 gennaio 2010

Notte fonda 1




Notte fonda 1

Lascialo il porco alla sua terra
e alle ghiande, ché la notte ha impastato
dentro al rosso del vino.

Io bukowski rinverginito.
Io dettaglio dell'universo.



(E. Santus)






venerdì 15 gennaio 2010

Carissimi Amici,
vi propongo la pubblicità per promuovere la rivista Aeolo. Condividetelo se desiderate.

Un carissimo saluto
Enrico Santus




mercoledì 13 gennaio 2010

A Silvio, di Giacomo Leopardi


Scusate, ma già che siamo in tempo di lettere al Premier,
non ho resistito a pubblicare anche questa di Giacomo Leopardi










martedì 12 gennaio 2010

Lettera d'Amore al Presidentissimo Migliorissimo della Storissima

Caro Silvio,
questa sera ho poggiato il mio sedere sulla poltrona ed ho aperto il giornale. Ne leggo due o tre al giorno perché soffro di una ormai rara malattia che colpisce ancora qualche giovane sfigato come me. Si chiama UPMC (Utopia di Poter Migliorare le Cose): il medico mi ha spiegato che, nonostante il nome, non ha niente a che fare coi topi e mi ha rassicurato dicendo che si tratta fortunatamente di una malattia che si cura con l'età, con la televisione e con le ballerine degli show di prima serata.

Ma io, caro Silvio, sono uno sfigato come ti dicevo. Non ho nessuna televisione da guaradare e così il medico mi ha prescritto delle pillole che distribuiscono gratis in tutte le farmacie. Il nome, se non mi sbaglio, credo che sia TOLLERANZA. Devo ingoiarne molte al giorno finché non sarò abbastanza vecchio da rimbambirmi.

Ho deciso di scriverti questa bella lettera per dirti che, nonostante il mio noto passato di contestatore (sempre pacifico eh!), ti ammiro. Ti ammiro perché riesci sempre a far parlare di te, mostrandoti sorridente in ogni fotografia che appare su giornali e tv (tranne in quelle de la Repubblica, dove sembri sempre un mastino arrabbiato).

Mi chiedo come riesci a 73 anni a sollevare ancora le folle (e non solo le folle!): certe volte ripenso a mio nonno che alla tua stessa età aveva difficoltà a ricordare persino cosa avesse mangiato a pranzo. Tu invece no, Silvio.
Tu, a 73 anni, dopo il divorzio da Veronica non ti sei mica abbattuto. Hai persino fondato il Partito dell'Amore: un partito da sogno, pieno zeppo di Veline e Veloni che in coro ondeggiano cantando "Meno male che Silvio c'è!". Mica l'hai fatto con la Bindi il Partito dell'Amore!

Mi domando se quando eri giovane come me già te le immaginavi tutte queste bischerate... Eh? Altro che quelli che urlano in difesa della democrazia. Tu sei stato eletto, sei l'uomo ELETTO!

Lo devono capire quelle toghe rosse coi calzini turchini. Mica si crederenno di riuscire a processarti? Diglielo che non farai fare una cicca al parlamento finché non ti toglieranno i processi di dosso! Diglielo che te ne sbatterai di tutti i disoccupati, almeno finché non la smettono di perseguitarti col tuo passato! Questi giudici sono troppo legati al passato e non riescono a vedere il futuro prosperoso che stai creando, con il Ponte di Messina tra l'altro...

Sei davvero forte, un divo: sei unico.

Spero che questa lettera riesca a raggiungerti. Tutto dipenderà da quanti amici la condivideranno nel loro profilo, ma ho grande fiducia nella gente: noi tutti ti amiamo e ti stiamo accanto.

Ad ogni modo, visto che in Italia non sono ancora permessi i matrimoni gay e che quindi non potrò sposare né tuo figlio né quello di un altro milionario, ti prego, trovami un modo per vivere dignitosamente.

Magari fammi un posticino dentro al Partito dell'Amore. So che tu hai due palle così, ma sono certo che neanche le mie misure deluderanno!

Con affetto e sincerità
Enrico Santus



domenica 10 gennaio 2010

Il desiderio e la serenità




Lacan
sosteneva che le fantasie non devono essere mai realistiche, perché nel momento in cui otteniamo ciò che cerchiamo non possiamo più volerlo. Noi non proviamo il piacere dal possesso di qualcosa, ma dal desiderio di possederla.

Siamo esseri orientati allo scopo, ad un risultato.

ESEMPIO 1: Si pensi ad una semplice partita di pallone: non importa se stiamo perdendo, l'importante è che s'intraveda ancora la possibilità di riportarsi in vantaggio. Ma nel momento in cui ciò non sia possibile, oppure nel momento in cui il nostro vantaggio è così superiore da non poter essere recuperato, la partita perde il suo valore, inizia a diventare noiosa.

ESEMPIO 2: Così è pure per il giocattolo che il bambino pretende che i genitori comprino. Nel momento in cui lo otterrà non saprà piu' che farsene e ne cercherà un altro, migliore e magari piu' difficile da ottenere (ovvero piu' costoso!).


Nel momento in cui raggiungiamo il nostro scopo, dobbiamo subito porcene uno maggiore: non farlo significherebbe immobilizzarci, arrendersi alla realtà, morire.

Questo fatto, per quanto interessante e - forse - alla base della superiorità della specie umana sulle altre, ha anche delle conseguenze decisamente negative nonché delle pericolose perversioni.

Tra queste ultime citiamo ciò che spesso accade in amore: è noto che "in amore vince chi fugge". Ebbene, perché può accadere ciò? Semplicemente perché chi fugge riesce a rimanere desiderio, mentre chi insegue equivale ad uno scopo già soddisfatto, ad un obiettivo già raggiunto. Ma come nella partita di pallone dell'Esempio 1, chi fugge deve farsi raggiungere di tanto in tanto, altrimenti diverrà un desiderio troppo distante, troppo difficile da raggiungere e colui che insegue smetterà di correre.
Questa fuga-inseguimento si realizza in maniera esemplare nell'Orlando Innamorato di Boiardo in seguito, però, all'utilizzo - prima da parte di Angelica e poi da parte di Rinaldo - di un filtro d'amore.


Il nostro orientamento alla scopo è la base dell'infelicità della specie umana: mentre le altre specie vivono serene nel loro habitat, l'uomo ha sempre cercato - insoddisfatto - di migliorare la propria condizione, modificando l'ambiente che lo circondava e adattandolo alle proprie esigenze, senza però mai riuscire ad adattarsi egli stesso.

Poiché l'uomo non sarà mai appagato dal raggiungimento di uno scopo e poiché il desiderio comporta movimento e sofferenza, l'uomo non potrà mai godere della serenità.

Questo conflitto interiore viene magistralmente esposto nel Faust di Goethe, laddove il vecchio Professor Faust, che tanto aveva studiato per soddisfare la propria sete di sapere, arriva a sfidare il diavolo e vendergli l'anima, sicuro che nemmeno lui sarà in grado di fargli raggiungere la felicità. "Quando dirò FERMATI ATTIMO, SEI TROPPO BELLO, allorà diverrò tuo schiavo" dice Faust senza mezzi termini a Mefistofele.

Faust sa che il suo piacere sta nel desiderio e non nella soddisfazione dello stesso che il diavolo può offrirgli: lui desidera la mela più matura, ma che marcisca nell'attimo esatto in cui arriverà ad addentarla; desidera la donna che nello stesso istante in cui viene posseduta starà già guardando il suo prossimo amante.

Ma c'è anche chi è riuscito a trovare la serenità. Epicuro, per esempio, sosteneva che tra i desideri possibili solo alcuni sono naturali, e corrispondono a quelli necessari. Tra questi vi è la felicità psico-fisica: una vita che non la contempli non è spesa bene.
Secondo Epicuro era necessario conoscere bene i propri desideri e assecondare solo quelli fondamentali e naturali, cosicché sarebbe diventato possibile creare un'armonia tra corpo e animo.
Nella condizione di serenità ogni turbamento cessa di esistere e lo stato di calma procura beneficio al corpo. La non sofferenza diventa così godimento.


Verrebbe da chiedersi a questo punto:
  1. E' giusto vivere una vita serena, immobile e pacifica, oppure una vita di ricerca, ricca di scontri e sofferenze?
  2. E nello scontro della ricerca siamo destinati a soccombere o evolverci?
  3. Infine, l'uomo sereno è colui che ha perso la sua battaglia col mondo e se n'è quindi distaccato o colui che ha vinto la propria battaglia con sé stesso e i propri turbamenti?





A Londra

Per un poco d'ispirazione sarebbe sufficiente un giornale: lo si apre, lo si sfoglia ed ecco mille argomenti di cui si potrebbe (e aggiungerei: si dovrebbe) parlare: politica, razzismo, democrazia, libertà, media, etc.

Ma certe volte qualcos'altro si impone più delle pagine del giornale. Sono i ricordi, quelle immagini leggermente sbiadite che accendono in noi vaghe nostalgie, dentro cui il cullarsi regala un tiepido sapore dolce-amaro.

La mia nostalgia, oggi, è Londra. Una città dove ho vissuto per un anno e dalla quale mi sono staccato bruscamente circa sei mesi fa. Questa mattina ho voluto scriverle due parole, prima di tornare al mio studio:

Qualche volta ti ripenso, mentre mi rigiro tra le lenzuola
disordinate e sepellisco la testa sotto un mucchio di cuscini.

Ti ripenso come una nostalgia frustrante, come
un affetto strappato via, un laccio mozzato da canini invidiosi.

Qualche volta ti ripenso e sono certo che ti riavrò,
anche se solo per un giorno, solo per una notte.

sabato 9 gennaio 2010

Il primo mattone

Non è mai facile iniziare qualcosa. Lo sanno tutti: è molto più semplice abbandonare, dimenticare, distruggere...

Lascio che questa frase fermenti, per riprenderla nei prossimi giorni e raccontarvi qualcosa di interessante!

A presto
Enrico Santus