In quale emisfero cerebrale è elaborato il linguaggio?

giovedì 6 maggio 2010

Recensione a "Questo è il paese che non amo" di Antonio Pascale



"Questo è il paese che non amo" è un saggio che scorre rapido come un romanzo. Antonio Pascale ci accompagna attraverso riflessioni autobiografiche, filosofiche e scientifiche in un'Italia senza stile, incapace di raccontarsi se non attraverso gli stessi termini brutali che vorrebbe (e dovrebbe) cancellare. Termini che, citando Kundera, Pascale attribuisce al desiderio di produrre la seconda lacrima. Non la prima, quella spontanea e genuina, ma la seconda, quella che nasce dalla commozione provocata dal pensiero di quanto sia bello e giusto piangere in quel momento.

A tal proposito, appare tagliente la critica al testo "I maiali" di Antonio Moresco, racconto nel quale viene attaccato il vouyerismo mediatico che si era sviluppato durante la tragedia che portò alla morte di Alfredino Rampi, caduto in un pozzo nel 1981. Moresco concludeva il racconto sostenendo che Alfredino, pur raggiunto da un soccorritore, non gli avrebbe dato la mano perché schifato dalla gente là sopra. Pascale si domanda se non vi fossero altri modi per muovere la stessa critica oltre a quello di utilizzare il medesimo vouyerismo mediatico, ed anzi superarlo entrando addirittura dentro al pozzo col bambino.

Il saggio ripercorre gli eventi politici e culturali che hanno caratterizzato l'Italia degli ultimi trent'anni: dall'arrivo degli immigrati senegalesi in Campania fino alla nascita delle televisioni commerciali, dal caso Di Bella al caso Englaro. Pascale non lancia sentenze: il suo procedere è cauto e riflessivo, ricco di punti interrogativi e attento a riportare fatti e dati.

Questo suo procedimento va in controtendenza rispetto a quegli intellettuali che, privi di conoscenze scientifiche, hanno trasformato questioni molto serie in simboli, semplificando la realtà in contrapposizioni manichee: bene versus male, naturale versus artificiale. Si chiede Pascale se questo "romanticismo" ha veramente aiutato a comprendere, oppure se ha semplicemente alimentato la confusione.

Ragione ed emozioni (tema già affrontato anche nel saggio Scienza e sentimento, Einaudi) sono quindi due parole che non possono convivere pacificamente: la realtà ci richiede un'analisi attenta, basata su dati concreti e non sul cuore. Emblematico di questa situazione è il caso di Vandana Shiva, che dichiarò nel marzo 2009 che "I semi sterili del cotone OGM" avevano causato "centomila suicidi tra i contadini indiani". Sentito ciò, Pascale immagina "schiere di giornalisti [...] prendere nota di questa affermazione perfetta [...] e riprodurla, amplificarla in cento, mille inchieste televisive, radiofoniche, giornalistiche: zoomare sempre, zoomare ancora". Poi, dopo aver chiarito che quei semi sono stati impropriamente definiti "OGM", Pascale fa riferimento al rapporto dell'IFPRI (Istituto internazionale di ricerca sulle politiche alimentari), nel quale si constata negli ultimi undici anni una diminuzione dei suicidi dei contadini dall'1,71 a 1,55 ogni 100.000 abitanti al fronte di un aumento esponenziale delle coltivazioni incriminate da Vandana Schiva (da 508.000 a 1,8 milioni di ettari solamente nella provincia di Maharashtra tra il 2005 e il 2006).

Chiamando in causa testi di critica cinematografica e letteraria, ma anche trame di film e articoli giornalistici, lo scrittore casertano promuove uno stile di narrazione attento a non cercare la seconda lacrima, in quanto le emozioni che essa suscita annichiliscono l'iniziativa, scaricano la responsabilità. Diviene così centrale, nel saggio, più ancora dell'oggetto da studiare il modo in cui si osserva tale oggetto. Pascale si domanda se sia possibile raccontare l'altro da noi senza prima esaminare il proprio sguardo.

La proposta che l'autore sembra portarsi dietro durante tutto l'arco delle 188 pagine è quella ereditata da Goffredo Parise, ovvero congiungere la democrazia e la pedagogia, nella speranza di creare una classe intellettuale onesta, capace di analizzare in maniera laica e scientifica i problemi e quindi insegnare con stile il modo in cui affrontarli, evitando i simboli e le banali semplificazioni. Solo allora si arriverà ad una democrazia vera e propria, poiché - spiega l'autore - le opinioni degli intellettuali verrebbero "lette dai nostri politici di riferimento e tradotte, poi, in una serie di leggi, norme, circolari esplicative che dovrebbero portare benefici e miglioramenti al mondo che abitiamo".


Enrico Santus

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