In quale emisfero cerebrale è elaborato il linguaggio?

giovedì 17 marzo 2011

Auguri all'Italia, auguri agli Italiani

Auguri all'Italia, auguri agli Italiani

pubblicata da Aeolo il giorno giovedì 17 marzo 2011 alle ore 20.26

«Un’espressione geografica», niente di più. Così appariva l’Italia agli occhi del principe austriaco von Metternich nel 1847.

Mancava meno di anno dalla prima guerra d’indipendenza, che vide le insurrezioni di Milano e Venezia contro gli austriaci, l’intervento di Carlo Alberto di Savoia e la formazione di governi provvisori in Toscana e a Roma, e l’Italia veniva schernita perché poco cosciente della propria identità. Schernita perché ignorante della propria storia civile e culturale.

Un’espressione geografica, quell’Italia, che era stata culla dell’Impero Romano e del diritto, ripreso poi in tutto l’Occidente; Un’espressione geografica, quell’Italia, culla anche del Rinascimento, di quel nuovo modo di intendere l’uomo e il mondo dopo gli anni bui del Medioevo. Un’espressione geografica, però, che non sapeva tutto ciò.

L’avevano capito le potenze europee, che durante il Congresso di Vienna se ne erano spartite i brandelli, affidandosi a quei principi di equilibrio e legittimità che avevano l’unico intento di ripristinare e proteggere gli antichi poteri. E tutto ciò in un’epoca di nazionalismi, in cui lingua e valori tradizionali iniziavano ad assumere una carica simbolica capace muovere le masse contro quegli stessi principi conservativi.

L’Italia viveva una situazione anomala, poiché le masse non parlavano una lingua comune, ma dialetti differenti. Inoltre era bassissimo il livello di alfabetizzazione e ancora più basso quello di scolarizzazione.

Il sentimento patriottico necessario a liberare l’Italia dagli occupanti e renderla finalmente una nazione unica e indipendente non poteva nascere se non tra gli intellettuali, gli unici che parlassero in quella “lingua del sì” che Dante per primo promosse a lingua nazionale.

Una lingua ancora troppo elaborata, troppo latineggiante per diventare una lingua popolare. Una lingua che fino ad allora era rimasta prerogativa di cancellerie e scambi epistolari tra scrittori e filosofi, mentre il popolo spesso non era nemmeno in grado di comprenderla. Dovette impegnarsi il Manzoni a “lavare i panni in Arno” per rendere quella lingua più semplice, utilizzando nella terza edizione de “I promessi sposi” quel vocabolario che diverrà poi la base dell’attuale italiano.

Mazzini, Garibaldi, Pisacane, Cattaneo, Saffi, Mameli, i fratelli Bandiera, Cavour. Tutti nomi (e ce ne sono moltissimi altri) che oggi appaiono così normali, così scontati. Forse perché li abbiamo letti mille volte nelle vie e nelle piazze delle nostre città oppure perché semplicemente non riusciamo a guardarci indietro tenendo da parte il senno di poi. Nomi normali, insomma, come se per forza la storia avesse dovuto prendere questa piega. Come se per forza queste persone avessero dovuto sacrificare la loro vita (e qualche volta la loro morte) per la fondazione di questo Paese.

Naturalmente, non è così. Si tratta di persone e, come tali, avrebbero potuto scegliere percorsi di vita più semplici, accettando la dominazione straniera e sopportandone le ingerenze. Ma cosa ne sarebbe stato dell’Italia?

Questo si dovrebbe chiedere chi oggi non festeggia l’Unità, vuoi per orgoglio padano, per orgoglio meridionale o perché semplicemente vede l’Unità d’Italia solamente come una conquista del regno Sabaudo.

Visioni queste che dipendono in gran parte da ricostruzioni storiche poco brillanti, incapaci per lo più di contestualizzare gli avvenimenti e valutare le altre possibili prospettive. Come è possibile, infatti, non riconoscere che dalla conquista Sabauda a oggi l’Italia – seppur attraverso un’alternarsi di eventi positivi e tragici – ha raggiunto un’elevata coscienza sociale e civile, entrando a far parte delle più importanti potenze economiche mondiali e garantendo una vita dignitosa ai propri cittadini? Come è possibile dimenticare che dal 1946 la monarchia sabauda è stata abolita e l’Italia si è costituita in una repubblica fondata su una delle più belle costituzioni che siano mai state scritte?

Piuttosto che credere alla retorica indipendentista, sarebbe bene porsi alcune domande. Che ne sarebbe stato della Padania o del Sud nell’economia globalizzata e in un mondo che tende sempre più a congregare Stati, capacità e conoscenze? Quanta parte del brigantaggio è nata spontaneamente a seguito della cattiva amministrazione del neo-Stato italiano e quanta è stata manovrata dai Borbone nel vano tentativo di riconquistare il potere?

Massimo d’Azeglio, a unità compiuta, disse: «Abbiamo fatto l'Italia ora dobbiamo fare gli italiani». Si tratta di una frase che riacquista un certo valore oggi, soprattutto a seguito della cattiva amministrazione di buona parte del mondo politico, concentrato solamente a proteggere e conservare i propri interessi. Una cattiva amministrazione che non può che ripercuotersi sulla fiducia nelle Istituzioni e quindi anche nel sentimento dei cittadini di sentirsi o meno italiani.

Ed è proprio questo desiderio di italianità che dobbiamo recuperare, un sano sentimento patriottico e unitario che dovrebbe guidarci verso il bene del Paese, perché in fondo non è altro che il bene di noi stessi e delle generazioni che ci seguiranno, come noi abbiamo seguito i nostri padri.

Auguri all’Italia, auguri agli italiani.

Enrico Santus


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